Riporto integralmente l’art.3 della Carta dei Diritti dei Morenti del 1999 con l’unico obiettivo di stimolare in ognuno riflessioni personali su un argomento delicato che ci tocca tutti da vicino, prima o poi.
La Carta dei Diritti dei Morenti, venne elaborata dal
COMITATO ETICO presso la FONDAZIONE FLORIANI (C.E.F.F.) nel maggio del 1999. Il C.E.F.F. è stato finanziato ed
ospitato dalla Fondazione Floriani dal 1991 al 2005, quando il Comitato Etico
si è evoluto a totale autonomia e indipendenza con la denominazione di Comitato per l’Etica di Fine Vita (C.E.F.).
Ricordo che quanto segue deriva da un documento del 1999 e che quindi alcune dinamiche o prassi nel frattempo possono essersi modificate.
Tuttavia personalmente riscontro ancora troppo frequentemente, nella mia pratica di assistenza psicologica a pazienti con malattie in fase terminale, che il diritto al consenso informato non viene rispettato pienamente.
Nella nostra cultura e in quella dei paesi mediterranei in genere, il diritto di sapere la verità viene trasferito integralmente sui famigliari, che sono i depositari della storia reale della malattia e alla fine del percorso, della morte imminente del proprio congiunto.
La
“congiura del silenzio”, la rete di omissioni e di menzogne pietose che gli
operatori e i parenti costruiscono intorno al paziente passo passo, fin dal
momento della diagnosi, si rafforza e si autoalimenta nell’aggravamento stesso
della malattia, rendendo poi difficilissima un'informazione tardiva, che assume
inevitabilmente le connotazioni di una condanna a morte.
D'altro
canto, la strategia dell'inganno si è retta finora sulla convinzione diffusa
che la consapevolezza della gravità della malattia esponga il paziente al
rischio di una grande sofferenza, tale da aggravare la qualità della sua vita e
da compromettere la sua stessa salute, già così provata. E’ anche abbastanza
diffuso il timore che il conoscere le proprie condizioni aumenti il rischio di
suicidi per depressione.
A
queste ragioni va contrapposta l'esperienza: queste paure non trovano nella
realtà riscontri tali da giustificarle.
La
“Carta”, alla luce dell'esperienza acquisita in questi anni dalle Cure
Palliative, vuole, invece, ribadire che il gioco della finzione messo in atto
dai medici e dai parenti non protegge il paziente dalla sofferenza di sapere la
verità - il malato anche se non ne parla, “sente” che la propria vita è al
termine - mentre lo priva della possibilità di esprimere, all'interno di una
relazione autentica, i suoi stati d'animo, le sue emozioni ed angosce.
Lo
scenario dell'inganno (che si regge spesso su falsificazioni grossolane, come
la cartella clinica che nasconde la verità con una diagnosi bugiarda o il
medico che mente sul vero scopo del trattamento) crea inevitabilmente una
comunicazione distorta, destinata, cioè, a creare rapporti improntati alla
diffidenza, con conseguenze difficili da gestire. Si crea così una situazione
che mina alla base la fiducia reciproca, dando origine a sospetti estremamente
pericolosi.
Per
superare queste difficoltà, la “Carta” ritiene che si debba affrontare la
questione della verità con franchezza e semplicità: non è necessario rivelarla
in modo brutale al malato, ma chi gli è vicino deve dare sempre risposte
veritiere.
Se il
paziente chiede, la sua domanda non deve, né può essere elusa.
Questo
per il rispetto dovuto alla persona e alla sua dignità.
Comportamenti
diversi danno inizio a quel processo che, di fatto, porta alla “morte sociale”
di una persona; un annullamento progressivo che comincia quando si smette di
considerarla soggetto capace di prendere decisioni sul proprio destino.
Quando
si ribadisce che anche in punto di morte deve essere offerta ad un individuo la
possibilità di conoscere la propria malattia e di essere informato sulla
gravità delle proprie condizioni, si intende richiamare l'attenzione di tutti
verso un’inversione di tendenza, verso una medicina meno “egocentrica”, che
rispetti, cioè, la libertà di scelta della persona e il suo diritto ad
autodeterminarsi, ad essere consapevole e, quindi, ad essere informata.
Questo
atteggiamento di rispetto della verità e della persona malata è decisamente
nuovo per il nostro contesto culturale e non può non suscitare ansia nel
famigliare che si fa improvvisamente carico di una verità elusa per tanto
tempo.
Ma
questo disagio non può essere risolto da un silenzio o da una menzogna che,
mentre tacitano il problema di chi assiste il malato, sottraggono a
quest’ultimo il diritto di sapere.
La “Carta” ritiene che l’accettazione di una qualche consapevolezza del morente sulla gravità delle proprie condizioni, aiuti anche i famigliari a tenere sotto controllo, per quanto è possibile, l’angoscia per la perdita imminente del loro caro.
Ad ognuno la propria
riflessione.
Dott.ssa Cocito Laura – Psicologa
Mindfulness Professional Trainer&Clinical Therapist - ACT Therapist® -
Iscrizione Albo A Piemonte n.10414