Riporto integralmente l’art.2 della Carta dei Diritti dei Morenti del
1999 con l’unico obiettivo di stimolare in ognuno riflessioni personali su un Diritto
fondamentale del malato, sancito dalla Carta
Europea dei Diritti del Malato (2002) e dalla Lg n. 219/2017 - Norme in materia di
consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento - ovvero il Diritto al Consenso Informato.
La Carta dei Diritti dei Morenti venne elaborata dal
COMITATO ETICO della FONDAZIONE FLORIANI (C.E.F.F.) nel maggio del 1999.
Il C.E.F.F. è stato finanziato ed ospitato dalla Fondazione
Floriani dal 1991 al 2005, quando il Comitato Etico si è evoluto a totale
autonomia e indipendenza diventando il COMITATO per l’ETICA di FINE VITA
(C.E.F.).
La Fondazione Floriani si è adoperata per la massima
diffusione del documento non solo tra gli studiosi di bioetica e di cure
palliative, ma anche tra la popolazione e le Istituzioni.
Ricordo che il testo che seguirà è del 1999, quindi
su alcuni aspetti, come ad esempio il sollievo dal dolore fisico, nel frattempo
si sono fatti grandi passi avanti.
Riconoscere
al morente la dignità di soggetto capace delle scelte e delle decisioni che
lo riguardano, e quindi la dignità di persona, fa tutt’uno con il
riconoscergli il diritto di essere adeguatamente e correttamente informato
su ciò che gli sta accadendo.
Solo
un paziente adeguatamente informato è infatti in grado di effettuare con
consapevolezza le scelte inerenti la sua salute e la sua vita.
L’informazione
sulle proprie condizioni di salute costituisce il presupposto fondamentale
perché il morente possa esprimere il proprio consenso, ovvero il proprio
dissenso, alle proposte diagnostiche e terapeutiche del medico e, quindi,
possa, non diversamente da tutti gli altri malati, essere parte di una
relazione terapeutica non più basata su quella concezione paternalistica che,
in nome del bene del paziente, assegna al medico un potere assoluto sugli
interventi da porre in atto nel corso della malattia.
Il malato
prossimo alla morte ha diritto a essere informato perché, come tutti gli
altri malati, ha diritto ad avere con chi lo cura una relazione che rispetti la
sua autonomia decisionale anche in relazione agli interventi sul suo
corpo.
Il
diritto dei pazienti ad essere informati, sebbene diffusamente riconosciuto in
linea di principio, trova, tuttavia, nella pratica clinica delle difficoltà
di attuazione dovute alle ingiustificate resistenze, da parte dei medici,
alla realizzazione di un nuovo modello di relazione con il paziente.
Nel
caso, in particolare, dei malati vicini alla morte, il dovere di informare i pazienti sui
trattamenti, così come sulla diagnosi e sulla prognosi, viene assai
frequentemente disatteso da medici che adducono a giustificazione del
proprio comportamento il fatto che un’informazione esauriente sarebbe dannosa,
data la precarietà emozionale, oltre che fisica, di un malato che, quanto più
si avvicina alla morte, tanto più assomiglia ad un bambino bisognoso di
rassicurazione e di protezione, e sarebbe, inoltre, per lo più, non voluta
dagli stessi malati.
Si
tratta di argomenti deboli, a fondamento dei quali non ci sono serie indagini, né
sull’effettivo desiderio di informazione dei pazienti, né sulle eventuali ricadute
negative dell’informazione, in termini di aumento della sofferenza e di
peggioramento della qualità della vita.
Ci
sono, piuttosto, opinioni tralatizie ( tramandate
attraverso la tradizione ),
circa quel desiderio e quelle ricadute, proprie di medici poco preparati a
considerare il sollievo dalla sofferenza e l’accompagnamento ad una morte
dignitosa, obiettivi pertinenti alla prassi medica, non meno di quanto
lo siano il raggiungimento della guarigione e il mantenimento della vita.
E’ certo,
comunque, che l’informazione a cui ha diritto il morente, non può avvenire in
modo catartico sul letto di morte e compiersi in un unico atto.
Deve
iniziare assai prima e configurarsi come un processo graduale
all’interno di un’articolata e complessa relazione comunicativa, tra il malato
ed un medico capace di scegliere i modi, i tempi, le strategie utili a
promuovere la consapevolezza e l’autonomia di soggetti diversi per attitudini,
condizioni personali, capacità di reazione, situazione clinica ed altro ancora.
Quello
all’informazione è un diritto, ma il malato può scegliere di non esercitarlo.
Una
persona può essere, infatti, interessata a conoscere le proprie condizioni di
salute, e in questo caso ha diritto a essere informata, ma potrebbe anche avere
un interesse a non conoscerle, e in questo secondo caso ha il simmetrico
diritto a non essere informata.
Pertanto,
sul diritto dei morenti a essere informati incide la loro volontà.
Questa
posizione solleva il problema del corretto accertamento della volontà dei
malati.
La
“Carta” ritiene che gli operatori sanitari debbano accertarsi, all’inizio
del rapporto, se effettivamente il malato intende rinunciare al diritto
di essere informato.
D’altro
canto, la presenza di eventuali ambiguità non deve mai essere presa a pretesto
per disattendere la volontà del malato.
Perché
il diritto all’informazione possa essere attuato, sarà, inoltre, necessario
liberare il malato dall’eccessiva attenzione dei famigliari
che intendono proteggerlo dal sapere la verità, con un atteggiamento paternalistico
che sostanzialmente non si discosta da quello dei curanti, in quanto ci si
rapporta al malato prossimo alla morte come a chi ha oramai perduto la
possibilità di determinarsi in modo libero ed autonomo.
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